la direttrice del carcere, Dottoressa Gabriella Straffi

 

 

 

il banchetto all'esterno del carcere

 

il laboratorio di cosmetica

 

la lavanderia

 

 

Comandante della Polizia Penitenziaria Femminile, dott.ssa Giacomina Anna Angiuli

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Stelio Fenzo

 

Le vite dentro

il Carcere Giudiziario Femminile della Giudecca

Nel dicembre del 2010, dopo aver letto l’interessante libro di Walter Esposito, giornalista mestrino, dal titolo “Il silenzio del pesce luna” che tratta di una storia ambientata nel Carcere Giudiziario Femminile della Giudecca, mi venne l’idea di fare un filmato in quel carcere e ne parlai col prof. Stoppani che l’appoggiò.
Mi misi presto in contatto con la direttrice, dott.ssa Gabriella Straffi, che gentilmente ci fissò un appuntamento. Preparai il progetto che aveva questo tema: il riscatto delle persone recluse. Obiettivo: la realizzazione di un DVD di circa 40 minuti, intervistando alcune carcerate.
Predisposi che le interviste fossero condotte da una donna per facilitare il racconto alle recluse. Chiesi a Giorgia Pornaro, laureata in Scienze dell’Educazione, di svolgere tale compito, e lei di buon grado accettò.
Pensavo a questo titolo : “LE VITE DENTRO”.

Questo il menabò” del DVD:
Succinta relazione, da parte della Direttrice, sulla storia e la struttura del Carcere Femminile (con brevi inserti illustranti, in sovrimpressione, le attività dell’istituto).
A seguire descrizione, da parte del Comandante Commissario di Polizia Femminile Giacomina Anna Angiul, della finalità della detenzione e del rapporto tra il personale e le detenute.
In seguito un agente di Polizia Penitenziaria avrebbe introdotto le donne per l’intervista.
Le donne intervistate avrebbero detto, se voluto, i loro nomi e la motivazione della loro detenzione.

Questo il piano delle interviste:
Detenuta con breve condanna
Detenuta con media condanna
Detenuta con lunga condanna

E queste le domande di merito :
La causa della detenzione
Le speranze per il futuro
La vita familiare

Parte finale: una carrellata a mano dentro un corridoio e, qualora possibile, in una stanza.
A seguire i titoli di coda e le musiche scelte in fase di montaggio.

Ora, sintetizzo per iscritto il dvd realizzato.
Ecco quanto il Direttore, dott.ssa Gabriella Straffi, espone nella prima parte dell’intervista.
Nel 1855 l’eccessivo numero di persone recluse obbligò il governo dell’epoca a scegliere il Convento delle Convertite, nell’isola della Giudecca, quale sede del carcere femminile in una struttura risalente al 1200. Ora rimane soltanto il luogo con la medesima denominazione.
Nel 1856 la struttura cominciò a funzionare con circa 100 donne detenute la cui custodia fu affidata a 15 suore che avevano diversi ruoli con relative mansioni, dalla madre superiora alla direttrice, alla sarta, all’ortolana, eccetera. Tutto ciò fino al 1990 quando furono istituiti i Corpi di Polizia Penitenziaria Maschile e Femminile, che sostituirono le suore ed il personale di vigilanza femminile. Pertanto dal 1990 la gestione del personale è stata affidata a un Comandante di reparto appartenente al corpo di Polizia Penitenziaria e oggi è un Commissario di Polizia.
La struttura dell’ex convento dà la possibilità di sfruttare ampi spazi, grandi cortili, ma soprattutto un vasto orto che forse nei primi anni del ‘900 era anche fonte di sussistenza per l’istituto; il medesimo è diventato negli ultimi tempi un elemento fondamentale per il lavoro ed il recupero delle ospiti. Un gruppo di detenute è affidato a una cooperativa e gestisce le coltivazioni dell’orto con piantagioni curate con sistema biologico, e ne vende i prodotti una volta alla settimana in un banchetto all’esterno del Carcere (vedi foto); i proventi sono distribuiti tra le varie donne che vi lavorano. Accanto all’orto con il passare degli anni si è iniziata un’altra attività: il laboratorio della cosmetica (vedi foto), attività questa che ha una gestione commerciale con tanto di guadagno, grazie agli ordini di grandi alberghi veneziani. Si producono sciampi, profumi, creme, saponi ecc. di alta qualità. In contatto con il settore alberghiero e turistico si è iniziata anche l’attività della lavanderia e della stireria (vedi le foto). Tutte operazioni che hanno avvicinato le detenute alla popolazione della città e questo è appunto il significato del graduale loro reinserimento nel consesso civile.
Nella seconda intervista il Comandante della Polizia Penitenziaria Femminile, dott.ssa Giacomina Anna Angiuli (vedi foto), illustra le proprie mansioni che riguardano i servizi, l’ascolto e la gestione delle problematiche delle detenute, allo scopo di garantire la sicurezza e la tranquillità sociale nel carcere. Afferma inoltre che il rapporto tra le detenute e il personale di Polizia Penitenziaria è molto serrato ed umano poiché le detenute durante il giorno non rimangono rinchiuse nelle stanze, bensì si muovono all’interno del carcere per le attività di lavoro e di studio. Inoltre evidenzia l’importanza del ruolo del personale di Polizia Femminile e delle Operatrici che lavorano all’interno del Carcere, nei rapporti umani e sociali con le detenute; intervengono infatti per interpretarne i bisogni, risolverne i problemi anche di natura psicologica in stretta collaborazione con l’equipe medica, dirimerne le controversie , testando nel contempo la loro inclinazione ed affidabilità per le attività di lavoro. In tal modo grazie a questa disponibilità, oltre che garantire la sicurezza, instaurano una situazione di buona tranquillità all’interno del Carcere.

 

LE INTERVISTE

Il primo colloquio è con una donna detenuta per motivi di droga. Si tratta di Alessandra una bella giovane di trent’anni che sollecitata dalla dottoressa Pornaro inizia il racconto della sua odissea precisando che si trova nel carcere della Giudecca dal 31 marzo del 2011 trasferitavi da quello di Belluno dove aveva “soggiornato” per alcuni mesi lì giunta da altri carceri. Alla Giudecca era stata reclusa già alcuni anni prima arrestata in flagranza di reato: spaccio di stupefacenti. Il racconto di Alessandra circa i suoi trasferimenti nelle carceri sia di tipo duro che aperto come l’attuale della Giudecca, è molto lungo e dettagliato. Tra le varie cose riferisce di aver convissuto con un ragazzo di Jesolo anche lui tossicodipendente, anche lui in carcere.
Alla domanda fatta dalla dottoressa Pornaro :. . . “e vivere qui dentro?” Alessandra risponde: “Per circa sei mesi non riuscivo ad adattarmi, anzi volevo rientrare in un carcere chiuso, però dopo ho constatato che qui ti sono offerte delle valide opportunità di studio e di lavoro e la giornata trascorre in modo più sopportabile. Qui hai la possibilità di fare danza, teatro o il “Corso di Orto” che io ora sto frequentando. Ho degli obiettivi. Ho un figlio fuori di nove mesi, il padre, benestante di ottima famiglia, seppur in carcere sempre per droga, non gli fa, e non mi fa, mancare nulla. Quando uscirò, spero di entrare in una casa famiglia”. La dottoressa Pornaro la invita a parlare del rapporto tra le Agenti e le detenute. Alessandra riconosce che in questo Carcere lei con le Agenti ha un buonissimo rapporto, contrariamente a quanto succedeva in altri carceri e qui termina la sua intervista.

Dopo Alessandra il colloquio/intervista è con Mimosa, alla Giudecca da circa un anno, le mancano da scontare ancora quattro anni e mezzo che con la buona condotta possono ridursi a tre e mezzo. Mimosa non dice il motivo della sua detenzione, ma descrive il dramma della sua condizione di reclusa, cui non riesce a non pensare neppure durante le attività che la tengono occupata durante il giorno; la sera infatti, al rientro in camera, il pensiero della mancanza di libertà riprende a tormentarla.
“Pensi di più a quello che è stato o a quello che sarà?” domanda la dottoressa Pornaro e Mimosa risponde che pensa di più a quello che sarà, ad un futuro migliore ancorché difficile poiché, essendo straniera, albanese, lei crede che sarà sempre considerata dalla nostra società come un’estranea, una diversa. E’ sposata con un italiano e ha dei figli. Il marito che vive in Romagna non può venirla a trovare tanto spesso per motivi anche di lavoro, idem per i figli. Circa il rapporto suo con le Agenti, Mimosa conferma quanto detto da Alessandra: è un rapporto di reciproco rispetto.

L’incontro/colloquio successivo è con Elda e anche in questo caso si tratta di droga. E’ carcerata dall’agosto 2006 e nella struttura della Giudecca si trova da quasi un anno; senza difficoltà confessa il motivo della sua attuale situazione: ha compiuto purtroppo uno sbaglio per troppa leggerezza, ha fatto quasi da prestanome per un carico molto grosso di droga proveniente dal Sudamerica, per paura, secondo lei, di ritorsioni sui suoi genitori e sui due figli, qualora avesse rifiutato.
Descrive , quasi con entusiasmo, l’impressione positiva avuta quando fu tradotta alla Giudecca dal carcere di Vigevano dove purtroppo si stava in una condizione ben diversa.
Elda qualifica il carcere della Giudecca quasi come un collegio dove puoi vivere con dignità, elogia l’umanità usata dalle Agenti nei confronti delle detenute. Illustra poi le attività che svolge: per prima quella dell’orto, poi gli altri corsi di studio in particolare quello di pittura che le ha dato soddisfazioni senza eguali, e quello di computer. Per il futuro, visto che ha 52 anni, spera di riprendere l’attività interrotta nella sua azienda.
Elda è anche preoccupata per il padre gravemente ammalato, ma le rimane la speranza di poterlo aiutare al suo ritorno a casa.

La realizzazione di questo DVD, le interviste, le riprese, il vedere, senza ovviamente poterli filmare, i bambini accanto alle loro madri, (possono starci fino ai tre anni, dopodiché devono essere dati in affidamento) e la frequentazione di quest’ambiente carcerario è stata un’esperienza che mi ha arricchito spiritualmente.

E’ stato proprio così !